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Nella sistematica codicistica, i delitti contro il patrimonio trovano collocazione nel titolo XIII del libro secondo (artt. 624-648 ter).

Di essi viene immediatamente operata una bipartizione in rapporto alle modalità di realizzazione della fattispecie, alla quale corrisponde la divisione del Titolo in due Capi, comprendenti, rispettivamente, i delitti commessi mediante violenza alle cose o alle persone (Capo I) e i delitti commessi mediante frode (Capo II).

Per quanto concerne i delitti contro il patrimonio mediante violenza alle cose o alle persone, si elencano i principali dei medesimi: furto, furto in abitazione con strappo, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di estorsione, usurpazione, deviazione di acque e modificazione dello stato dei luoghi, invasione di terreni o edifici, turbativa violenta del possesso di cose immobili, danneggiamento, danneggiamento di informazioni, dati e programmi informatici, danneggiamento di informazioni, dati e programmi informatici utilizzati dallo Stato o da altro ente pubblico o comunque di pubblica utilità, danneggiamento di sistemi informatici o telematici, danneggiamento di sistemi informatici o telematici di pubblica utilità, introduzione o abbandono di animali nel fondo altrui e pascolo abusivo, ingresso abusivo nel fondo altrui, uccisione o danneggiamento di animali altrui, deturpamento e imbrattamento di cose altrui.

Per quanto concerne, invece, i delitti contro il patrimonio mediante frode, si elencano i seguenti: truffa, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, frode informatica, frode informatica del soggetto che presta servizi di certificazione di firma elettronica, insolvenza fraudolenta, fraudolento danneggiamento dei beni assicurati e mutilazione fraudolenta della propria persona, circonvenzione di persone incapaci, usura, frode in emigrazione, appropriazione indebita, ricettazione, riciclaggio, impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, autoriciclaggio.

Il furto e l’appropriazione indebita

Il reato di furto è punito dall’art. 624 c.p. che così recita: “Chiunque s’impossessa della cosa mobile altrui sottraendola a chi la detiene al fine di trarne profitto per sé o per altri, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 154 a euro 516.”

L’appropriazione indebita è, invece, contemplata dall’art. 646 c.p. a tenore del quale “chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, è punito a querela della persona offesa, con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a euro 1.032.”

La condotta incriminata nell’appropriazione indebita consiste nel far propria la cosa altrui, di cui si abbia a qualsiasi titolo il possesso. Presupposto della condotta tipica è dunque l’esistenza di una relazione di possesso tra l’agente e la cosa, non potendo il soggetto appropriarsi di qualcosa di cui non abbia già la disponibilità e dovendo altrimenti ricorrere alla sottrazione.

L’appropriazione indebita presenta una struttura attigua a quella del furto, mentre però nel furto l’agente, per far propria la cosa altrui, deve sottrarla a chi la detiene, nel caso dell’appropriazione indebita, egli già possiede la res della quale illegittimamente si appropria.

Dunque, elemento caratterizzante tale reato è la preesistenza del possesso della cosa appropriata da parte del soggetto attivo. Il possesso, come prevede espressamente la norma, può essere fondato su qualsiasi titolo, purchè, sia lecito e inidoneo a trasferire la proprietà della cosa, non potendo altrimenti configurarsi il reato in esame rispettivamente per la sussistenza di altro reato (a seconda dei casi, furto, truffa, estorsione ecc.) e per assenza del concetto di altruità della cosa.

La rapina propria e impropria

L’art. 628 c.p. al c. 1 e 2 prevede che: “1) Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, mediante violenza alla persona o minaccia, s’impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene è punito con la reclusione da tre a dieci anni e con la multa da euro 516 a euro 2065. 2) Alla stessa pena soggiace chi adopera violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione, per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta o per procurare a sé o ad altri l’impunità.”

Le disposizioni in esame prevedono due ipotesi di rapina: quella c.d. propria e quella c.d. impropria.

La rapina propria consiste nell’impossessarsi della cosa altrui, sottraendola a chi la detiene tramite violenza o minaccia, le quali vengono usate dunque per vincere l’opposizione del detentore.

Si è in presenza di un reato complesso poiché racchiude in sé, come elementi costitutivi, il reato di furto (sottrazione ed impossessamento) e quello di minaccia (art. 612 c.p.) ovvero di violenza privata (art.610 c.p.) o di percosse (art. 581 c.p. c.2).

Nella rapina impropria, invece, la condotta incriminata consiste nell’usare violenza o minaccia alla persona, immediatamente dopo che la cosa altrui è già stata sottratta. La vis in questo caso non è mezzo che serve all’agente per spogliare altri del bene in questione, ma strumento attraverso il quale conseguire o consolidare il possesso ovvero assicurare a sé o ad altri l’impunità.

Ne consegue che, la differenza tra rapina propria ed impropria risiede nell’inversione temporale in cui si succedono sottrazione e impossessamento, violenza o minaccia. Nel primo caso, si registrano prima la violenza o la minaccia, che sono gli strumenti con cui l’agente riesce a sottrarre la cosa altrui, e poi la sottrazione e l’impossessamento. Invece, nel secondo caso, si verifica prima la sottrazione  e poi la violenza o al minaccia, che servono all’agente per conseguire o consolidare il possesso , ovvero assicurare a sé o ad altri l’impunità.


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